Catalogo 500 g
Aggiornato 02/2017
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Aggiornato 03/2016
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Aggiornato 02/2017
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Certificato del 11/12/2024
Scadenza 13/12/2026
Datato 12/12/2024
Ad essere messo sotto accusa è il processo di essiccazione della pasta mediante l’uso di alte temperature.
Il procedimento, utilizzato dalle maggiori industrie del settore, provocherebbe infatti alterazioni organolettiche e nutrizionali del prodotto.
Il grido di allarme viene lanciato dal professor Pier Paolo Resmini, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie alimentari e microbiologiche dell’università di Milano che ha effettuato insieme ad un team di ricercatori uno studio in materia.
Passati i tempi in cui l’impasto di semola ed acqua seccava al vento delle correnti di Castellammare, da circa un ventennio la produzione industriale della pasta ha introdotto tecniche di essiccazione che utilizzano il calore: l’impasto viene sottoposto al passaggio in camere di alta temperatura.
Con il passare del tempo, si sono utilizzate temperature sempre più elevate. Questo metodo ha consentito di ridurre notevolmente il tempo di essiccazione: dalle sedici ore che sarebbero normalmente necessarie, con 65-70 gradi centigradi, si arriva fino a meno di quattro ore di essiccazione per la pasta corta (procedimenti in cui si possono superare i cento gradi).
Ma quando le temperature salgono troppo, secondo Resmini, si producono una serie di trasformazioni del prodotto, non tutte positive.
“Una pasta essiccata sopra agli 85-90 gradi, a fronte dei tradizionali 60-65” spiega il ricercatore “cambia di sapore, si allontana da quello del grano e si avvicina a quello dei prodotti da forno, come pane e biscotti.
Inoltre quanto è più alta la temperatura, maggiore è la riduzione del valore nutrizionale della pasta: diminuisce notevolmente la quantità di lisina, una importante proteina che dopo il passaggio all’alta temperatura, può subire una riduzione che varia dal 20 fino al 40-50 per cento, a seconda della qualità della semola usata in partenza.
Infine, con alte gradazioni, si formano e degradano nella pasta alcuni composti che derivano dalla reazione delle proteine con gli zuccheri, creando sostanze come la furosina, che non esistono in natura e di cui è decisamente dubbia l’innocuità”.
“Le industrie” prosegue il cattedratico “dovrebbero indicare la temperatura di essiccazione nelle confezioni di pasta, in modo da rendere consapevoli i consumatori anche di questo dato”.
Decisamente di segno opposto la posizione in materia di Franco Casacci, ricercatore della Barilla, che ricorda gli effetti positivi dell’alta temperatura, primo tra tutti quello di assicurare una maggiore tenuta di cottura della pasta “senza contare che gli elementi da prendere in considerazione sono, oltre al grado di temperatura, anche il tempo esposizione alla fonte di calore, che in questo tipo di procedimenti viene notevolmente ridotto”.
Riccardo Monacelli, alimentarista e direttore della rivista “Scienze dell’alimentazione” sull’argomento precisa che “danno termico non significa danno per la salute dell’individuo” e che “non è stata provata la tossicità di sostanze come la foresina, presenti fra l’altro anche nella crosta del pane e nel latte pastorizzato.
“Inoltre” conclude Monacelli “secondo uno studio effettuato da nostri ricercatori, la diminuzione di lisina non supererebbe il 20 per cento con una temperatura di 85 gradi, mentre con i normali 60 la riduzione sarebbe già del 7/8 per cento”.